LA CITTA' E LA NEVE

Vanni Santoni e Enzo Fileno Carabba per "LA CITTA' E LA NEVE"

Prende il via "La città e La neve", blog prima (http://lacittaelaneve.splinder.com) e raccolta di racconti poi che vedrà l'intervento del folto numero di scrittori che hanno preso parte al corso di scrittura creativa "Officina del racconto" a San Giovanni Valdarno.

La città e la neve

Cari amici,
dall'idea di un gruppo di spericolati..nasce oggi il blog "La città e la neve",  il racconto della neve del dicembre duemiladieci a Firenze scritto dai lettori. Un raccoglitore di storie legate in qualche modo a quella incredibile giornata. La richiesta è quella di postarlo il più possibile, mandare idee foto e storie che riguardano appunto quel venerdi 17 dicembre.
                                                                                                                  Saluti, Carmine Liccardi

CARNEVALE OGNI SCHERZO VALE


Racconto di Michela Fabbrini


Quando mi sposai  avevo già il cane da due anni.  Virginia non ne voleva sapere e fece di tutto per convincermi a darlo via, si inventò addirittura  una  specie di allergia. Ma io su questo argomento, l’unico, fui irremovibile: se mi voleva, doveva accettare anche la Lola. Prendere o lasciare.
Uscii per far pisciare il cane, ero quasi certo che Virginia mi tradisse. Avevo spiato il suo computer, il cellulare e anche la posta  ordinaria che ormai non la usa più nessuno. Quel giorno era martedì grasso, già il nome mi fa schifo. A Parma tirava un vento gelido sferzava la faccia, ma a Lola piaceva. Le feci fare un giro intorno all’isolato, il ghiaccio scricchiolava sotto le scarpe, io continuavo a rimuginare. Ultimamente Virginia passava molto più tempo al cellulare, il suo capo gliene aveva dato uno da usare per il lavoro, stranamente era proprio identico al suo. Pensai fosse una delle sue fissazioni da modaiola: magari era un colore che s’intonava con i capelli o con lo smalto. Ma ora ne ero certo: lo aveva scelto apposta per confondermi.
Era in procinto di partire per Venezia, andava a festeggiare il carnevale con  due  amiche,  mentre  io sarei rimasto a casa con Lola: primo perché non sapevo a chi lasciarla e secondo perché non avevo nessuna intenzione di farlo.  E poi il carnevale mi fa tristezza, soprattutto quello di Venezia: canali puzzolenti stracolmi di gente imbellettata. Tutti ubriachi fradici a ciondolare per strada o a tirare cocaina nei palazzi dei vips. Non fa per me. Virginia stava chiudendo nervosamente il suo trolley Samsonite quando mi apostrofò in tono acido – cerca di non dare fuoco alla casa mentre sono via, se ci riesci-. Io risposi sarcastico: - ma certo tesoro, comunque lascia a portata di mano il numero dei pompieri, non si può mai sapere. –A proposito cara – dissi facendo l’indifferente - prendo un attimo il tuo cellulare, voglio memorizzare il numero di Sara, così se il tuo è spento posso chiamare lei. - Mentre salivo le scale con la sua borsa in mano, mi corse dietro inferocita: - non ti azzardare a toccarla! – Virginia era sempre stata una ragazza molto riservata e non avrebbe permesso a nessuno di infilare le mani nella sua preziosa borsetta. Stavolta però era proprio infuriata. Anche questo era strano. Infilai la mano ed ebbi fortuna: estrassi il telefono dell’ufficio ma feci appena in tempo a leggere le ultime chiamate, prima che mi piombasse addosso. Erano quasi tutte di un certo Massimo ed erano tante. Mi strappò il telefono di mano.  –Adesso non ho tempo per discutere con te stronzo, Sara e Giulia mi stanno aspettando fuori, ma quando torno non te la passi liscia, te l’assicuro-. Detto ciò uscì sbattendo la porta.
-Eccoci qua  Lola,  finalmente soli.- Lei annuì agitando la grossa coda pelosa: al contrario di Virginia che non l’ha mai degnata di uno sguardo a me faceva piacere la sua silenziosa presenza.- Dobbiamo scoprire chi è questo Massimo che sente tanto spesso.- mormorai. Arrivare a lui fu più semplice del previsto: dopo aver telefonato a un paio di amici comuni  scoprii che l’uomo misterioso altro non era che il vice direttore della Antonveneta,  una delle banche con cui Virginia collaborava come promotrice finanziaria. Un bell’uomo in effetti, lo conoscevo di vista, anche affascinante a modo suo, sposato e con tre figli.  Provai a chiamare questo Massimo in ufficio con una scusa, tipo chiedere un consiglio su alcuni fondi d’investimento, mi rispose la segretaria, disse che il Dott. Minardi aveva preso un giorno di ferie e  sarebbe rientrato l’indomani. Non poteva essere una coincidenza. Da Parma a Venezia sono trecento chilometri e io ero intenzionato a percorrerli per fare ad entrambi una splendida sorpresa, diciamo un scherzo di carnevale.
Partimmo io e la  Lola, non sapevo esattamente dove poteva essere Virginia, ma  non sarebbe stato difficile trovarla. Infatti ieri aveva indosso un bel vestito di  broccato rosso da cortigiana, con un cappello a veletta e uno scialle di raso neri. L’ho vista mentre se lo provava davanti allo specchio: era bella da mozzare il fiato. Tanto bella quanto stronza. - Che abito sontuoso – dissi – speriamo che non piova domani sennò lo ridurrai uno straccio - . -Sai Luca, ogni giorno che passa mi accorgo di aver sposato un cretino;  ti sembro il tipo che passa l’ultimo  giorno di carnevale a Venezia per strada?- Inveì. - Sappi che sono ospite di uno dei party più cool della città:  il mio costume scivolerà su tappeti persiani e lussuosi pavimenti,  altro che fango. Poi i suoi occhi si posarono su Lola: - Ehi bestiaccia tieni fuori dalla mia camera le tue zampe sudice!- Il cane non alzo neanche lo sguardo, continuò a fingere di dormire.
Arrivammo a Venezia verso le quattro del pomeriggio, volevo procurarmi un costume adatto per la mascherata a sorpresa.  Mi venne in mente “Il cappello  a  sonagli” di Pirandello :  un copricapo con le corna poteva rendere l’idea, ma ci ripensai: non avrebbe capito, anzi se avessi nominato Pirandello avrebbe potuto pensare a una nuova marca di cappelli. Mi ero portato una  macchina fotografica digitale ed intendevo usarla per immortalare i due amanti sul pezzo. Il problema era che Lola non avrebbe potuto seguirmi, comunque speravo di trovare una soluzione.
 Parcheggiai nei pressi di piazzale Roma e mi avviai verso il centro, fatti pochi metri la mia attenzione fu attratta da una ragazza: era seduta su una panchina e dava da mangiare ai piccioni, appena si  avvicinavano li fotografava in primo piano. Era giovane, indossava abiti molto ampi, aveva occhiali spessi e una sciarpa con i colori della pace arrotolata due volte intorno al collo. Mi avvicinai per guardarla, poteva essere la soluzione. -Ciao - le dissi -Perché fotografi i piccioni?- Mi squadrò da capo a piedi con curiosità e poi rispose -Lo faccio per ricordo: tra qualche anno saranno tutti morti  e di loro non resterà nessuna memoria,  certo non posso fotografare tutti i piccioni della città, ma almeno quelli del mio quartiere, quelli che stanno in questa piazza e mangiano il mio mangime-. Lola le si stava strofinando con il muso contro le  ginocchia e mugolava chiedendo una carezza. -Come ti chiami le domandai? –Arianna -. Rispose. Le chiesi se poteva occuparsi del cane fino che non fossi tornato, in cambio offrivo 50 euro e un chilo di mangime per volatili. Ne fu entusiasta, accettò subito di tenere Lola e mi indicò il palazzo dove viveva. -Puoi venire a prenderla a qualsiasi ora, io sarò a casa dopo le nove: odio questa maledetta festa di uomini mascherati.- Mi disse quale cognome cercare nel citofono e ci salutammo. Lola scodinzolava lieta accanto a lei: mi sentii più tranquillo e deciso ad agire.
Piazza San Marco era il caos, m’infilai in un vicoletto laterale, dove si affittavano costumi a  prezzi modici. Era un negozio un po’ malmesso ma il proprietario fu molto cortese e mi dette ottimi consigli. Uscii da lì perfetto e irriconoscibile, adesso non mi restava che trovare la festa più fashion della città ed imbucarmi. Per ringalluzzirmi ancora di più mi fermai in un bar e mandai giù un paio di grappini. Mi scaldarono lo spirito ed il corpo. Poi comprai uno di quei giornaletti di gossip, dove erano elencate le migliori feste mondane di Venezia. La più fashion era sicuramente quella della contessina Brenda Monaldin, alla quale avrebbe partecipato addirittura Fabrizio Corona. Fui certo che era quella giusta, me lo sentivo. Il palazzo dove aveva luogo il party era circondato da agenti della sicurezza o buttafuori, forse guardie del corpo. Non sapevo bene cosa fossero ma erano alti, grossi e muscolosi. A differenza mia che sono piuttosto basso per essere un maschio, e pure mingherlino. Mia moglie le poche volte che uscivamo insieme si lamentava di non poter indossare i tacchi perché mi avrebbe superato di una spanna, e questo secondo lei non stava bene.

Davanti all’ingesso principale era tutto un via vai di vaporetti che lasciavano gli ospiti e ripartivano, vidi  una barchetta da carico e scarico merci attraccare di lato, davanti a una delle porte di servizio. Dovevo riuscire ad entrare da lì. Attesi ancora una mezz’ora, quando ecco arrivare un motoscafo molto più grande, pieno zeppo di bevande e cibo. Mi avvicinai al bordo del canale e la barca rallentò passandomi vicino, così ci saltai dentro. Afferrai al volo una bottiglia di vino rosso e mi nascosi dietro alcune casse, nell’angolo più vicino all’uscita. Appena i due energumeni che erano sbarcati iniziarono a scaricare svicolai dentro con l’agilità di un gatto. Ce l’avevo fatta, avrei assaggiato il calice della vendetta, ma per il momento, con un cavatappi che faceva al caso mio, assaggiai il vino direttamente dalla bottiglia. Adesso si che mi sentivo eccitato e bello carico per affrontare i due fedifraghi, cioè i due stronzi che mi facevano cornuto. Ero travestito da orso, un orsacchiotto peloso con una maschera dal sorriso idiota che mi copriva il volto. Feci un giro in pista, la gente ballava e beveva, ma non vidi la cortigiana vestita da zoccola, perciò salii ai piani superiori. C’erano un infinità di stanze da entrambi i lati del lungo corridoio che percorrevo, alcune chiuse a chiave, altre no. Io barcollavo un po’: il vino era finito tutto nella pancia dell’orso che infatti si sentiva brillo. Mi fermai di fronte a una porta semichiusa, sentivo  rumori provenire dall’interno, mi avvicinai lentamente e appoggiai  la mano sulla maniglia: riconobbi distintamente la voce di mia moglie che ansimava  e gemeva, chiedendo al suo vicedirettore di impegnarsi ancora di più. Feci il mio ingresso in scena urlando,  non dimenticherò mai le loro facce sbalordite: lui era rosso come un  peperone per lo sforzo e per la vergogna, lei invece avrebbe voluto sbranarmi e divorarmi, come una tigre. Fu questo il magnifico istante che immortalai, con tre o quattro scatti veloci mentre il flash li accecava. Poi dissi sbeffeggiandoli: - A carnevale ogni scherzo vale. Peccato che domani quando sua moglie riceverà le foto la festa sarà finita.
Venni via dalla stanza di corsa, avevo molto vantaggio, essendo  loro completamente nudi non potevano  rincorrermi, ma soltanto urlarmi dietro. Uscii dalla porta principale e saltai su un vaporetto, nessuno nella ressa si accorse di me. Avevo voglia di vomitare, mi affacciai al parapetto e respirai l’aria gelata a pieni polmoni. Quando giunsi a Piazzale Roma avevo bevuto altre tre grappe strada facendo, sentivo le mani e i piedi congelati e la testa mi prendeva fuoco. Mi riposai un attimo seduto sulla panchina dove avevo incontrato Arianna, tirai fuori la macchina fotografica e dopo essermi accertato che le foto di quei due erano venute bene, fotografai un piccione che avevo di fronte. Poi suonai il campanello, Arianna mi fece cenno di salire, trovai a tentoni le scale ed entrai in casa. Lola abbaiava come una forsennata: non avevo tolto il vestito da orso. Quella strana ragazza scoppiò in una fragorosa risata. - Lola sono io, ma non mi riconosci cucciola?- Mi tolsi quel coso peloso e lei  mi zompò addosso leccandomi la faccia. – Non so come ringraziarti, Arianna, sei stata davvero gentile. Mi rispose – Al contrario è stato un piacere, mi ha fatto molta compagnia, in questi giorni le mie coinquiline passano la notte a folleggiare e io rimango a casa da sola.
C’era il caminetto acceso e nella stanza faceva caldo, ricordo di aver chiacchierato a lungo e il viso dolce di lei che mi sorrideva, poi il buio. Al mattino, mi trovai disteso sul divano, coperto con un  sacco a pelo e con  Lola addormentata placidamente  sulla mia pancia. Stavo riprendendo lentamente conoscenza quando dalla stanza accanto apparve Arianna, aveva i capelli arruffati, una specie di tunica di lino colorato e gli infradito di cuoio ai piedi: la trovai splendida. Notai  un bel seno grande e dei  capelli  rosso fiamma. – Ci facciamo un caffè signor orso,  non so neanche come ti chiami-. Arianna in quel momento non portava gli occhiali, aveva le lentiggini sul naso, e strizzava gli occhi per mettermi a fuoco, come sempre sorrideva anzi i suoi occhi sorridevano.
-Devo essere svenuto ieri sera, avevo bevuto parecchio sai – le dissi. – Sì, ti sei addormentato sul divano quando sono andata in bagno. Rispose. -Comunque io mi chiamo Luca,ieri ho avuto una giornata pazzesca e ancora non ne sono del tutto fuori-.  Le raccontai la mia storia, mentre in casa di diffondeva un piacevole odore di caffè. Arianna e Lola mi ascoltavano con il mento all’insù e ogni tanto Arianna scuoteva la testa. Alla fine mi chiese perché avevo sprecato il mio tempo prezioso con una tale stronza. E io non avevo una risposta. -Devo tornare a casa per fare le valigie-dissi cercando di mettermi in piedi, - del resto si occuperanno i nostri avvocati, non la voglio neanche rivedere -. Pronunciai queste parole con rabbia, poi la mia voce si addolcì:-sai le squallide foto che ho scattato ieri sera,  ho deciso di cancellarle : volevo solo spaventarli a morte. Per caso il tuo divano e il sacco a pelo sono prenotati per la notte? Perché mi prendo qualche giorno di vacanza e torno da te. – Lei inforcò gli occhiali e rispose mostrandomi i denti  perlati  in uno smagliante sorriso:- Sei molto carino piccolo  orso. Inoltre nella mia camera c’è un letto grande e soffice: possiamo dividerlo in tre, vero Lola? Vai pure a dare fuoco alla casa, io e lei ti aspettiamo per cena-. Arianna mi schiocco un bel bacio sulla bocca e sparì in bagno. io accarezzai il cane che scodinzolava felice. Dopo aver eliminato quelle immagini lasciai sulla tavola la macchina fotografica: sul display si vedeva in primo piano un grasso piccione.