BAKXAI

Breve è il tempo della vita:
e chi aspira a grandi mete
non ottiene neppure
le gioie del presente.
Penso che vivere così
sia da folli,
da dissennati.
[Euripide, Baccanti]

“Le Ali di Icaro” presenta BAKXAI lo spettacolo conclusivo del laboratorio teatrale di quest'anno.

Sabato 26 giugno 2010 a Montegonzi

Con:
Benedetta Bertini / Costanza Bianconi / Iacopo Cigolini / Guendalina Degl'Innocenti / Lorenza Guerrini / Cristoforo La Rosa / Mara Leotta / Alessandro Marziali / Sabrina Santi

Musiche originali di Valentino Coppi:

Adattamento e regia Lorella Serni

2010 suona bene (fanculo agli anni zero)

SIKITIKIS al MIAMI
da http://piovedeserto.splinder.com/


2010 è un numero che suona bene.
Abbiamo passato un inverno difficile. Il freddo, la neve, le macerie.
Mi piace pensare che sia stata una stagione catartica: l'inverno più freddo che chiude il decennio più stronzo.
Eppure 2010 continua a suonare bene.
E così il 4, il 5 e 6 Giugno arriva un caldo che non si sentiva da tempo immemorabile.
Le ossa hanno iniziato un lento ma salubre processo di asciugatura e, insieme al canto degli uccelli, hanno iniziato a scricchiolare sotto gli alberi dell'Idroscalo.
Sapevo che sarebbe stata una bella giornata quella del 6 giugno… ma non perché avrebbero dovuto suonare i Sikitikis.
Ci sono atmosfere che fanno passare decisamente in secondo piano il fatto che devi salire sul palco. Probabilmente questo è un meccanismo che ti fa godere il concerto, il tuo, sì, ma anche quello degli altri.
Le band che suonano prima di noi spaccano tutte, dalla prima all'ultima.
Durante il cambio palco sentiamo la pressione e la responsabilità di suonare sul "Pertini" alle nove di sera, che tradotto suona tipo: "vediamo se riusciamo a riempire questo buco".
Saliamo sul palco molto carichi.
Di fronte a noi non più di qualche decina di persone. Attacchiamo.
Ci vuole un brano e mezzo per entrare nel suono del palco e per trovare i punti di riferimento. Mentre canto cerco dei volti, delle persone, degli amici. Mi diverto. Vedo t-shirt divertenti. Una coppia che si bacia. Tre amiche che ballano e ridono. Una ragazza bellissima. Un ragazzo altissimo. Ugo Mazzia.
Passano pochi minuti. Mentre sono assorto ad osservare il pubblico con lo zoom mi ritrovo a ballare sul palco preso totalmente dalla musica. Sono cantante e sono spettatore.
Allargo il campo della visuale e mi rendo conto che le poche decine di persone sono diventate diverse centinaia, forse un migliaio. Ballano con noi. Siamo un unico pubblico.
Le ultime parole raschiate dalla gola, la mia e quella di Jimi, sono "che cazzo importa avere trent'anni".
Sentiamo dal pubblico del Magnolia un affetto che prima non avremmo mai osato aspettarci. Sì, perché alla fine dei famosi conti (o della frequentatissima fiera), la differenza la fa l'affetto. Quello che trovi quando arrivi in un luogo, quello che cresce quando incontri persone con cui condividere passioni, quello che ti resta dai sorrisi di chi ti dà una pacca sulla spalla e ti ringrazia di aver suonato anche per lui.
Lo so che in questo momento il presobenismo jovanottiano finisce per sembrare un discorso del ministro La Russa. Lo so che un musicista che dice di provare affetto per altri musicisti suona falso come un ufficiale della Marina Svizzera. Ma molti non sanno che in Svizzera la Marina c'è, e che questa Marina ha degli ufficiali.
Perciò me ne fotto altamente di chi legge stucchevoli le mie parole… e sapete perché? Perché 2010 è un numero che suona benissimo.
E poi perché so per certo (ma non posso dirvi chi me l' ha detto) che il prossimo decennio sarà meraviglioso per chi, come noi, non ha paura di chiedere:
"MI AMI?"

Addio a Josè Saramago

È morto nella sua casa di Lanzarote lo scrittore portoghese José Saramago, Premio Nobel per la letteratura nel 1998.

«Ha fatto plof ed è sparita. Certe onomatopee sono provvidenziali. Si immagini se avessimo dovuto descrivere il processo di sparizione del soggetto con tutti i particolari. Ci sarebbero volute, almeno, dieci pagine. Plof.»
(José Saramago, Il viaggio dell’elefante)

STORM - Paolo Pellegrin e Motel Connection

FIRENZE, 16 GIU 2010 - Storm è il titolo del libro fotografico firmato da Paolo Pelligrin. Conosciuto per la sua abilità nel toccare svariati temi e soggetti attraverso immagini al contempo eccessive e drammatiche. Con una tiratura di 8.000 copie, il magazine verrà distribuito in tutto il mondo in librerie selezionate, musei e concept stores. Il libro è stato presentato con un party a Le Paglierie, ai bordi dei Giardini di Boboli, accompagnato da un concerto dei Motel Connection.
Grande serata. Ringraziamo i Motel Connection per l'invito e consigliamo (chi ne avrà occasione) di sfogliare Storm.

Gli interessi in comune

Vanni Santoni
Feltrinelli


Questo è per noi. Per noi che siamo un branco di conservatori. Che un paio di calze a righe o le scarpe da skate ci fanno anticonformisti e addirittura creativi. Per noi ragazzi che tra le birre e le sigarette scegliamo sempre la marca, ma non le sapremmo distinguere l’una dall’altra, e per noi ragazze che d’estate mettiamo la gonna ma d’inverno mai, e anche con il freddo beviamo mojiti e capiroske. Per noi che a guardarci in faccia siamo belle, brillanti e abbiamo visto e fatto tutto e poi non sappiamo neanche fare un pompino. Per noi che “seguo dei progetti” è un modo per dire che non facciamo niente mai. Per noi che un giorno decidiamo così dal nulla che d’ora in poi ci vestiremo con giacchette strette e magliette vintage, e per noi che senza felpa nera e cane al fianco dovremmo toglierci pure i piercing. Per noi che casa nostra è “casa dei miei”, che paghiamo sei euro una birra e sette un grammo di fumo senza batter ciglio e poi diciamo “ladro!” al cantante che ne vuole sedici per il suo concerto. Per noi che quando abbiamo la fidanzata non ci vedi più. Per noi che scegliamo un uomo in base al suo ruolo, sì, anche il suo ruolo rispetto a una discoteca di provincia il venerdì sera, e per noi che le ragazze belle le portiamo ovunque e quelle brutte le incontriamo solo a casa. Per noi che alla fine ci si affeziona a quelle brutte, e per noi che non riusciamo mai a staccarci del tutto dal nostro primo ragazzo. Per noi che quando sentiamo i trent’anni smettiamo di prendere la pillola, ci mettiamo la camicetta e diciamo che abbiamo smesso di fumare anche se il nostro odore dice che non è vero. Per noi che cianciamo di sostanze con aria competente e poi mangiamo pasticche che lo sa Dio cosa c’è dentro, e per noi che ci facciamo una canna alle undici di mattina e buttiamo nel cesso la giornata. Per noi che quando ci lascia il fidanzato andiamo a yoga, a teatro, a tango, e per noi che quando ci lascia la fidanzata andiamo a puttane, o ricominciamo con la coca, o tutti e due. Per noi che siamo contro l’alcol ma poi siamo sbronzi una sera sì e l’altra pure; per noi che “il dramma del popolo saharawi” e “che schifo di facce al Toy stasera”. Per noi che poi a ballare al Toy ci siamo sempre, e nel Sahara mai. Per noi che ci finiamo di lampade e a inizio aprile siamo indecisi se dire che siamo stati al mare o in montagna, e per noi che le sigarette ci hanno fatto le dita gialle. Per noi che siamo grassi, bianchicci, e ci puzza il fiato, e ci chiediamo perché non scopiamo mai, per noi che siamo belli, lustri e in tiro e ci chiediamo perché non scopiamo mai con chi vorremmo noi. Per noi che la cosa più importante è l’amore, e poi l’amicizia, e la politica non ci interessa ma siamo di sinistra, per noi che la politica ci fa schifo ed è tutto un magna magna, ma votiamo zitti zitti a destra. Per noi che abbiamo sempre paura di farci male. Per noi che ci accontentiamo, e lasciamo che qualcuno ci rovini la vita per sempre, e per noi che non ci accontentiamo e ci finiamo di seghe. Per noi che abbiamo paura dei cani, dei ragni, dei piccioni, della folla; per noi che abbiamo le vertigini – e lo diciamo – e per noi che abbiamo le crisi di panico – e non lo diciamo. Per noi che siamo dieci milioni di scienziati della comunicazione e non sappiamo usare un cacciavite, e per noi che quando compriamo un cappellino ne sfilacciamo subito la tesa. Per noi che abbiamo il MySpace, anzi, no: il Facebook, che è meglio. Per le nostre camerette che grondano retorica pacifista, e per quelle che grondano retorica cinefila, sportiva, culturale. Per noi che non facciamo vedere foto di noi stesse quando eravamo grasse, e per noi che dopo il tatuaggio mettiamo sempre magliette smanicate (per noi che il nostro tatuaggio è un piccolo, patetico trasferello). Per le nostre macchine, che se non sono tirate a lucido allora sono luride, tutte cassette e flyer in mezzo, e per i nostri sorrisi, che sanno essere lucidi, ma veri quasi mai. Per noi che se ha le canne è un ganzo se beve è un ganzo se ha le paste è un ganzo se ha la coca è un ganzo, ma se ha la roba, ah, be’, quello è un tossico. Per noi che pensiamo di poter fare gli artisti senza esserci mai fatti i viaggi, e per noi che siccome ci siamo fatti i viaggi c’illudiamo d’essere artisti.

E così vorresti fare lo scrittore? (di Charles Bukowski)

Se non ti esplode dentro a dispetto di tutto,
non farlo.
A meno che non ti venga dritto dal cuore e dalla mente e dalla bocca e dalle viscere,
non farlo.
Se devi startene seduto per ore a fissare lo schermo del computer o curvo sulla macchina da scrivere alla ricerca delle parole,
non farlo.
Se lo fai solo per soldi o per fama,
non farlo.
Se lo fai perché vuoi delle donne nel letto,
non farlo.
Se devi startene lì a scrivere e riscrivere,
non farlo.
Se è già una fatica il solo pensiero di farlo,
non farlo.
Se stai cercando di scrivere come qualcun altro,
lascia perdere.
Se devi aspettare che ti esca come un ruggito,
allora aspetta pazientemente.
Se non ti esce mai come un ruggito,
fai qualcos’altro.
Se prima devi leggerlo a tua moglie o alla tua ragazza o al tuo ragazzo o ai tuoi genitori o comunque a qualcuno,
non sei pronto.
Non essere come tanti scrittori,
non essere come tutte quelle migliaia di persone che si definiscono scrittori,
non essere monotono o noioso e pretenzioso,
non farti consumare dall’auto-compiacimento.
Le biblioteche del mondo hanno sbadigliato fino ad addormentarsi per tipi come te.
Non aggiungerti a loro.
Non farlo.
A meno che non ti esca dall’anima come un razzo,
a meno che lo star fermo non ti porti alla follia o al suicidio o all’omicidio,
non farlo.
A meno che il sole dentro di te stia bruciandoti le viscere,
non farlo.
Quando sarà veramente il momento, e se sei predestinato, si farà da sé e continuerà finché tu morirai o morirà in te.
Non c’è altro modo.
E non c’è mai stato.

La “legge” dei grandi numeri

Racconto di Annarita


La “legge” dei grandi numeri non perdona.

Erano troppi gli avvenimenti in cui Ermete aveva avuto riprova di quella “legge” non scientifica eppure più esatta di tante teorie pseudo matematiche. Egli, dal suo mediocre scalino del Paradiso – era infatti un angelo di seconda classe – provava tenerezza per gli uomini che gli venivano affidati e per i quali avrebbe voluto fare di più, molto di più, se solo avesse potuto. Gli mancava, tanto per dirne una, l’antiveggenza, dote alla quale aspirava con un minimo di invidia nei confronti degli esseri a lui superiori (pochissima invidia, peraltro, quanta ne può contenere un puro cuore di angelo, quantunque non di prima classe).

Chissà quanti errori avrebbe evitato alle persone che doveva custodire, se solo avesse potuto intuire gli sviluppi futuri della situazione in cui si cacciavano! In compenso possedeva la Verità: di fronte a lui si stendeva, come su un tavolo perfettamente ordinato, tutto lo schema del reale e le sue decisioni potevano essere prese con una serenità davvero rara.

Per sopperire alla mancanza di antiveggenza cercava di applicare quanto più possibile la legge dei grandi numeri. Un solo esempio per tutti: quale posto considerare più sicuro in assoluto? La risposta era semplice quello dove è appena accaduta una tragedia. È infatti da escludersi un violento terremoto – naturalmente se si parla di breve periodo – in una terra recentemente scossa da un sisma. Se per un attentato terroristico scoppia una bomba su un treno (oppure in una stazione) è molto difficile – quasi impossibile, anzi – che vi sia un’altra azione dimostrativa nello stesso luogo a breve distanza. Persino nella “Terra Santa” dopo un assalto di kamikaze in un ristorante si hanno fondati motivi per ritenere che quel ristorante non sarà oggetto di altri attacchi. Meglio evitare del tutto determinate zone, certo; ma se proprio si deve bazzicarle, è preferibile tornare esattamente laddove è appena scoppiato un ordigno, in un luogo dove si concentra l’attenzione della polizia e della gente e dove sono da escludersi ulteriori azioni terroristiche, che presumibilmente si indirizzeranno in punti meno sorvegliati.

Era appena trascorsa l’ora delle prima colazione e mentre l’angelo Ermete si apprestava a custodire un’anima di recente affidatagli, giunse la notizia di un violento attacco terroristico proprio nella città in cui si trovava Fabrice, il suo protetto: si trattava in particolare di un fotografo specializzato in servizi di guerra.

«Quale migliore occasione?» si chiese il reporter.
«Quale il posto più sicuro?» ribatté, senza essere udito, Ermete.

La tremenda esplosione era avvenuta in un alto palazzo del centro della cittadina, a pochi minuti dalla casa di Fabrice, i cui vetri avevano addirittura rischiato di infrangersi per lo spostamento d’aria. L’uomo si gettò per strada con un ronzio nelle orecchie: «Non ti avvicinare troppo! Non ti avvicinare troppo! Non ti avvicinare troppo!».
Era la voce della coscienza o meglio quella del suo angelo custode, ma questo egli non riusciva a comprenderlo. Correva sempre con maggior foga e niente sembrava fermarlo. Ermete era sulle spine, avendo saputo nebulosamente che presto quel gesto folle sarebbe stato replicato. Pensò ad un vecchio adagio: «Se non puoi saltare un ostacolo, aggiralo» e decise di modificare il suo piano di battaglia.

All’invito a non avvicinarsi sostituì quello di realizzare il servizio fotografico dal punto – secondo la legge dei grandi numeri – più sicuro di tutti. E in quel caso, non essendo pensabile effettuare riprese all’interno dello stesso edificio, era meglio dirigersi verso la costruzione di fronte.

Mentre il veloce ascensore lo portava verso l’ultimo piano, Fabrice si fregava le mani soddisfatto: nessun collega in giro, era decisamente il primo. L’indomani le foto che avrebbe scattato sarebbero state sulla prima pagina dei principali quotidiani ed egli avrebbe guadagnato in un solo giorno quanto solitamente racimolava in un anno. Avrebbe festeggiato invitando Sally nel più lussuoso ristorante della città. Gli bruciava ancora il modo con cui lo aveva mollato e credeva che rifarsi vivo in quella maniera avrebbe contribuito a rialzare le sue azioni alla borsa del cuore di lei. Al suo fianco anche Ermete era contento: lo spericolato che gli era stato affidato si trovava nel luogo più sicuro – almeno per qualche tempo – della terra. La legge dei grandi numeri non sbagliava…

Fabrice, giunto sul terrazzo dell’ultimo piano con le macchine fotografiche approntate, iniziò a scattare a raffica, concentrandosi talmente sulle inquadrature, da non pensare a nient’altro. Era così eccitato mentre riprendeva la caduta a volo libero di un poveraccio buttatosi da una delle finestre in fiamme, che solo all’ultimo istante si rese conto di uno strano, crescente rumore: si trattava di un aereo di linea che, a bassa quota, si dirigeva proprio contro il grattacielo sulla cui sommità si trovava.

L’indomani, 12 settembre 2001, Sally cenò con un altro amico, Frank, in uno dei non moltissimi ristorantini romantici di Manhattan.

Decalogo per aspiranti pubblicatori (di Sandrone Dazieri)

Ecco un piccolo decalogo per aspiranti pubblicatori (non aspiranti scrittori, perché, come dice Dazieri o si scrive o non si scrive). Io l'ho trovato molto ben fatto.

1) Come faccio per far leggere il mio manoscritto? Se avete un manoscritto speditelo all’editore, o alla collana, che pubblica qualcosa di simile a quanto avete prodotto. Poesie agli editori di poesie, gialli agli editori di gialli. Potete indirizzare il manoscritto al direttore di collana, ma la busta sarà al novanta per cento intercettata da una segretaria. Scegliete con cura, non spammate in giro: è inutile, costoso e fa perdere del tempo a tutti.

2) Meglio mandare un file o un manoscritto stampato? E’ meglio il manoscritto cartaceo. Leggere a video stanca e i files si perdono tra le centinaia di mail che un editor riceve ogni giorno dalle più varie fonti. Inoltre, in molte redazioni gli editor non hanno una stampante personale, per cui selezionano molto cosa stampare e cosa no. Toglietegli il dubbio e speditegli un manoscritto pinzato, con i fogli stampati su una faccia sola e con un carattere dal corpo dodici in su. La prima pagina deve contenere i vostri dati e magari un breve riassunto. Il vostro curriculum non è necessario, ma due righe su chi siete sono gradite.

3) E’ meglio se mando una mail per avvisare che invio il manoscritto? E’ abbastanza inutile, a meno che l’editor non vi conosca personalmente. Al novanta per cento vi verrà risposto di lasciar perdere o non vi sarà risposto affatto.

4) Ho mandato il manoscritto sei mesi fa. Cosa faccio, mando una mail di sollecito? E’ assolutamente inutile. Se vi avessero letto e trovato interessante ve l’avrebbero già comunicato. Quindi il manoscritto è stato cestinato, prima o dopo la lettura. Dopo sei mesi, date il manoscritto per perso.

5) Ma come? Gli editor non sono pagati per leggere manoscritti di esordienti? Non esattamente. Gli editor sono pagati per pubblicare autori da loro scovati presso gli agenti o da case editrici concorrenti, per litigare con i grafici e gli uffici stampa, per presentare i libri pubblicati, per leggere le traduzioni, per revisionare i testi dei loro autori eccetera. Leggono i manoscritti nei ritagli di tempo, perché sanno che può capitare la botta di culo di trovare qualcosa di buono, ma ogni editor in media ne riceve più di uno al giorno e quando gliene si accumulano troppi sulla scrivania li getta semplicemente nel bidone. Ricordatevi che il fatto che vogliate spedire a un editor o una casa editrice non impegna i riceventi a leggervi o a darvi una risposta (per quanto la maggior parte lo faccia, soprattutto se può disporre di una segreteria di redazione). Non è questione di cortesia, ma di tempo.

6) Corollario al punto precedente. Gli editor leggono in fretta. Se nelle prime pagine il romanzo non li acchiappa, lo scartano. Quindi evitate i prologhi e cominciate dal meglio. Poi, eventualmente, tornate indietro con qualche trucco narrativo. Leggere in frette significa che possono anche sbagliarsi, mettetelo in conto.

7) Le case editrici pubblicano sempre gli stessi… Bisogna essere raccomandanti per pubblicare? Le raccomandazioni sono la maledizione di qualsiasi attività umana dove girano soldi, ma nell’editoria funzionano meno che da altre parti. Un romanzo schifoso rimane schifoso anche se raccomandato da Dante Alighieri redivivo e l’editor che l’ha pubblicato se ne vergogna. Viceversa, se l’editor scopre un nuovo autore ne è fiero e, se questo autore vende, la sua carriera se ne avvantaggia. Quindi, nessuno chiude a priori le porte in faccia a nessuno. In Mondadori, alcuni dei più grossi successi degli ultimi anni arrivano da esordienti piombati sui tavoli degli editori senza alcuna raccomandazione: Saviano, Giordano, Troisi. E’ vero, pero’, che una casa editrice può arrischiarsi a pubblicare solo un ristretto numero di nuove proposte, perché spesso il lancio non funziona e le copie non si vendono. Le case editrici sono imprese per fare quattrini, non accademie, e gli editor, che fanno questo mestiere perché lo amano, non per lauti guadagni, devono tenerne conto.

8) Cosa devo evitare in un manoscritto? 1) Sottolineare nel frontespizio che avete depositato il manoscritto alla Siae per paura che ve lo copino. Un editor serio un po’ si risente e, francamente, non ho mai sentito di un editor che freghi il manoscritto all’esordiente per pubblicarlo a nome proprio (i plagi esistono, ma li fanno direttamente gli autori copiando roba già pubblicata, sperando che nessuno se ne accorga). Come dicevo prima, gli autori nuovi sono una manna dal cielo: meglio metterli sotto contratto che stroncarli sul nascere. 2) Aggiungere una lettera strappacuore in cui spiegate che nel manoscritto riponete le vostre speranze di una vita migliore: imbarazza chi riceve il manoscritto e non sortisce risultati. 3) Una recensione di un agente letterario che però non vi sta rappresentando o una scheda di lettura di una casa editrice che vi ha letto, apprezzato ma non ha ritenuto opportuno pubblicarvi. Il perché è ovvio se ci pensate. 4) Errori di grammatica o di battitura. 5) Una rilegatura con finta copertina disegnata da voi. 6) La richiesta, nel caso il manoscritto non piaccia, di girarlo a un collega o del nominativo di una nuova casa editrice cui mandarlo: se anche un editor vi legge non diventa per questo il vostro agente. 7) Chiedere una motivazione dettagliata del rifiuto, con analisi del testo e indignarsi per non averla ricevuta: l’editor non ha materialmente il tempo di farla e una gentile lettera generica evita le discussioni.

9) Gli agenti servono? Sì, ma agli esordienti poco e un agente serio probabilmente non vi prenderà neppure in considerazione: potrebbe fare ben poco per voi che non sia infilare il vostro manoscritto in una busta. E come riconoscere un agente serio? Non si fa pagare da voi a prescindere dai risultati, ma si prende una percentuale sui vostri guadagni. Di solito il 10 per cento sull’Italia e fino al venti sulle vendite estere.

10) Una casa editrice mi ha offerto la pubblicazione del mio manoscritto, sono molto felice. Ma mi ha chiesto anche di partecipare alle spese. Cosa devo fare? Mandateli all’inferno, ecco cosa dovete fare. Il vostro libro non sarà venduto, non sarà recensito e non aprirà la strada a pubblicazioni regolari. Pagare per per pubblicare serve solo a mantenere due parassiti: un editore che ha scoperto come fare i soldi senza rischio e il vostro ego. Se avete un manoscritto che volete far leggere ai vostri amici fatevelo rilegare da una copisteria: risparmiete quattrini e farete una figura migliore. Oppure mettetelo su Internet. Fanno parziale eccezione (ma è un campo che non conosco) la poesia e la divulgazione scientifica.

Il decalogo completo lo trovate qui.

SCRITTURA CREATIVA IN VALDARNO

LABORATORIO DI SCRITTURA CREATIVA


Stiamo organizzando un LABORATORIO DI SCRITTURA CREATIVA da avviare nel mese di ottobre a San Giovanni Valdarno.
Appena disponibili verranno fornite maggiori informazioni.

Se sei interessato invia una mail qui.

Francesco Recami - Prenditi cura di me

RICEVO E PUBBLICO

Sabato 12 Giugno – ore 21

Presentazione del libro
PRENDITI CURA DI ME
(Sellerio, 2010)
Finalista Premio Strega
Sarà presente l’autore

FRANCESCO RECAMI

Biblioteca Comunale di Montevarchi,
Via dei Mille - Montevarchi (AR)