Racconto di Graziella
Dalla terrazza del loro appartamento si vede il mare. La spiaggia è quasi deserta. Nessun allestimento per la balneazione, l’estate è ancora lontana. Elda ha aperto entrambe le grandi ante della porta-finestra e, incurante dell’agitarsi sonoro dei tendaggi scossi dal vento dietro di lei, sta in piedi sulla terrazza ad osservare un punto lontano all’orizzonte. La brezza fresca del tardo pomeriggio che soffia ad intervalli le porta il profumo delle onde e le punge le spalle ed il collo con una sensazione di gelo.
- Senti freddo? Si è alzato il vento - le chiede lui dal centro della stanza da pranzo.
- No - risponde senza guardarlo.
- Ho già messo la macchina fuori, andiamo, io ho fame - le dice allontanandosi.
Elda aspetta senza voltarsi che abbia attraversato la stanza e sia giunto alla porta d’ingresso, seguendo il suono dei suoi passi; poi, lascia andare la barra di ferro della ringhiera su cui ha serrato i pugni e che le ha lasciato una traccia profonda sui palmi; infine, lo raggiunge ed esce con lui.
L’unico ristorante della zona con ancora dei posti liberi ha i tavoli disposti all’interno di un’ampia stanza dai soffitti alti, le pareti annerite nella parte superiore, nella parte più bassa ricoperte da una balza di legno chiaro, opaco e ingiallito. Al centro, il bancone del bar e la cassa; di fronte a questa è appesa un’enorme televisione dal volume direttamente proporzionale alla sua grandezza.
Elda, seduta di fronte a lui ad un tavolo accostato ad una parete, si guarda intorno.
Il tavolo di fronte a lei è occupato da due fidanzati. Sono troppo distanti per sentire di cosa parlano ma sembrano avere molte cose da dirsi, guardandosi negli occhi, tra una carezza e l’altra, tenendosi le mani, dimenticandosi del piatto che aspetta davanti a loro.
Più vicina, invece, è la famiglia seduta al tavolo di fianco a Elda; i genitori e due bambini, un maschio e la femmina, più piccola, che ha sulla testa un fazzoletto bianco annodato dietro la nuca e indossa una camicetta a fantasia con le maniche rivoltate fin sopra i gomiti paffuti. Il padre l’aiuta preparandole i bocconi nel piatto mentre ride ascoltando il racconto appassionato del figlio tornato da una gita, e si scambia occhiate di compiacimento con la madre. La bimba è l’unica che avverte lo sguardo persistente di Elda e le sorride. Elda, scoperta, riesce a ricambiare sollevando un angolo della bocca; poi si volta, tornando al suo tavolo e alla sua cena.
Continua a consultare il menu sfogliandone le pagine avanti e indietro mentre lui, con le braccia incrociate e appoggiate sul tavolo, inizia a seguire il programma in onda. Poi arriva l’acqua col vino, poi il pane, poi le pietanze ordinate. Mangiano, lei lentamente dopo aver sistemato il tovagliolo sulle gambe; lui con voracità, tenendo i gomiti poggiati sul tavolo; entrambi senza sollevare la testa.
- Come mai sei arrivato così tardi a casa? - domanda Elda costringendolo a guardarla.
- Un cliente all’ultimo minuto, si è presentato lì e ho dovuto sbrigare il lavoro sul momento. Mi dispiace. Ma tu che hai, sei strana stasera. -
- Sono stanca. - risponde abbassando lo sguardo.
- Non ti preoccupare, appena abbiamo finito torniamo subito a casa, così ti riposi. -
- Sì. Come succede ogni venerdì sera, ogni sabato, ogni fine settimana da non ricordo più quanto tempo. - afferma Elda pacatamente.
Lui, con lo stesso tono: - Cosa vorresti fare. Sei tu che dici che hai sempre impegni a casa da sbrigare, che non vuoi fare tardi la sera, che la compagnia degli altri, parenti o amici, ti stanca. Sono sempre io a spronarti a fare qualcosa di diverso. In fondo, non siamo vecchi, a cinquant’anni non si è vecchi. -
Elda, interrompendo definitivamente la cena, sospira e, dopo una pausa, ribatte: - “Non siamo vecchi”. Forse. Dipende da come ci si sente. Io ho troppi anni se penso a quello che non ho fatto e ne ho troppo pochi per quello che faccio -.
Lui la guarda e non risponde; finisce la sua cena mentre guarda finire il programma in tv.
Elda si alza dal letto quando ancora la loro camera è immersa nel buio. Si veste con gesti sicuri, senza provocare rumore se non un lieve fruscìo di abiti. Lui è immobile, disteso su un fianco con le spalle rivolte a lei. Ha gli occhi sbarrati e colmi di lacrime. Non si muove neanche quando sente che Elda tira a sé la valigia da sotto il letto. Non si muove: il suo è un addio soffocato. Elda, invece, prima di lasciare l’appartamento, scrive un biglietto seduta al tavolo della stanza da pranzo: “so tutto, non me lo merito, non cercarmi mai”.
Quella è stata l’ultima volta che si sono visti.
Dalla terrazza del loro appartamento si vede il mare. La spiaggia è quasi deserta. Nessun allestimento per la balneazione, l’estate è ancora lontana. Elda ha aperto entrambe le grandi ante della porta-finestra e, incurante dell’agitarsi sonoro dei tendaggi scossi dal vento dietro di lei, sta in piedi sulla terrazza ad osservare un punto lontano all’orizzonte. La brezza fresca del tardo pomeriggio che soffia ad intervalli le porta il profumo delle onde e le punge le spalle ed il collo con una sensazione di gelo.
- Senti freddo? Si è alzato il vento - le chiede lui dal centro della stanza da pranzo.
- No - risponde senza guardarlo.
- Ho già messo la macchina fuori, andiamo, io ho fame - le dice allontanandosi.
Elda aspetta senza voltarsi che abbia attraversato la stanza e sia giunto alla porta d’ingresso, seguendo il suono dei suoi passi; poi, lascia andare la barra di ferro della ringhiera su cui ha serrato i pugni e che le ha lasciato una traccia profonda sui palmi; infine, lo raggiunge ed esce con lui.
L’unico ristorante della zona con ancora dei posti liberi ha i tavoli disposti all’interno di un’ampia stanza dai soffitti alti, le pareti annerite nella parte superiore, nella parte più bassa ricoperte da una balza di legno chiaro, opaco e ingiallito. Al centro, il bancone del bar e la cassa; di fronte a questa è appesa un’enorme televisione dal volume direttamente proporzionale alla sua grandezza.
Elda, seduta di fronte a lui ad un tavolo accostato ad una parete, si guarda intorno.
Il tavolo di fronte a lei è occupato da due fidanzati. Sono troppo distanti per sentire di cosa parlano ma sembrano avere molte cose da dirsi, guardandosi negli occhi, tra una carezza e l’altra, tenendosi le mani, dimenticandosi del piatto che aspetta davanti a loro.
Più vicina, invece, è la famiglia seduta al tavolo di fianco a Elda; i genitori e due bambini, un maschio e la femmina, più piccola, che ha sulla testa un fazzoletto bianco annodato dietro la nuca e indossa una camicetta a fantasia con le maniche rivoltate fin sopra i gomiti paffuti. Il padre l’aiuta preparandole i bocconi nel piatto mentre ride ascoltando il racconto appassionato del figlio tornato da una gita, e si scambia occhiate di compiacimento con la madre. La bimba è l’unica che avverte lo sguardo persistente di Elda e le sorride. Elda, scoperta, riesce a ricambiare sollevando un angolo della bocca; poi si volta, tornando al suo tavolo e alla sua cena.
Continua a consultare il menu sfogliandone le pagine avanti e indietro mentre lui, con le braccia incrociate e appoggiate sul tavolo, inizia a seguire il programma in onda. Poi arriva l’acqua col vino, poi il pane, poi le pietanze ordinate. Mangiano, lei lentamente dopo aver sistemato il tovagliolo sulle gambe; lui con voracità, tenendo i gomiti poggiati sul tavolo; entrambi senza sollevare la testa.
- Come mai sei arrivato così tardi a casa? - domanda Elda costringendolo a guardarla.
- Un cliente all’ultimo minuto, si è presentato lì e ho dovuto sbrigare il lavoro sul momento. Mi dispiace. Ma tu che hai, sei strana stasera. -
- Sono stanca. - risponde abbassando lo sguardo.
- Non ti preoccupare, appena abbiamo finito torniamo subito a casa, così ti riposi. -
- Sì. Come succede ogni venerdì sera, ogni sabato, ogni fine settimana da non ricordo più quanto tempo. - afferma Elda pacatamente.
Lui, con lo stesso tono: - Cosa vorresti fare. Sei tu che dici che hai sempre impegni a casa da sbrigare, che non vuoi fare tardi la sera, che la compagnia degli altri, parenti o amici, ti stanca. Sono sempre io a spronarti a fare qualcosa di diverso. In fondo, non siamo vecchi, a cinquant’anni non si è vecchi. -
Elda, interrompendo definitivamente la cena, sospira e, dopo una pausa, ribatte: - “Non siamo vecchi”. Forse. Dipende da come ci si sente. Io ho troppi anni se penso a quello che non ho fatto e ne ho troppo pochi per quello che faccio -.
Lui la guarda e non risponde; finisce la sua cena mentre guarda finire il programma in tv.
Elda si alza dal letto quando ancora la loro camera è immersa nel buio. Si veste con gesti sicuri, senza provocare rumore se non un lieve fruscìo di abiti. Lui è immobile, disteso su un fianco con le spalle rivolte a lei. Ha gli occhi sbarrati e colmi di lacrime. Non si muove neanche quando sente che Elda tira a sé la valigia da sotto il letto. Non si muove: il suo è un addio soffocato. Elda, invece, prima di lasciare l’appartamento, scrive un biglietto seduta al tavolo della stanza da pranzo: “so tutto, non me lo merito, non cercarmi mai”.
Quella è stata l’ultima volta che si sono visti.