(di Rosella Cerrini)
Quella sera ci avrebbero portate al “Pacha”, la discoteca più famosa, in occasione di una festa, il “Red fullmoon party”. Per entrare si doveva pagare un biglietto carissimo, oppure conoscere le persone giuste. Naturalmente i nostri “fratelli e cugini” rientravano in questo ultimo caso.
Vicki usci dalla sua camera e tutti ci voltammo a guardarla, compreso Josè. Era una visione! Bella come il sole, stivali e minigonna argentati, poco più di un reggiseno bianco e tutti i suoi capelli, splendidamente biondi e lunghi, sciolti sulle spalle, sembrava la cantante bionda degli Abba. Stranamente, non mi sentivo né invidiosa, né in competizione con lei, la vedevo solo come una sorella maggiore, buona. Infatti ci prese per mano e ci aiutò a scegliere dei vestiti per quella sera.
-Ti stanno troppo bene quegli short!- mi disse tutta contenta. In realtà erano dei vecchi jeans tagliati talmente corti da richiedere una ceretta totale, dall’ inguine in su. Rifiutai decisamente le zeppe rosse, che secondo lei andavano benissimo e preferii i suoi stivali “camperos” dal look più accettabile. Poi legandomi dietro la schiena un bellissimo foulard di seta indiana, mi guardò e disse: -Manca solo il tocco finale. Mi legò dei nastrini colorati intorno alla fronte e infine, spalmò sulle palpebre e sulle guance un po’ di brillantini, che fino ad allora credevo servissero solo per creare un effetto Bianco Natale, un ultimo colpo di spazzola ai capelli sciolti sulle spalle e facendomi girare su me stessa disse: -Sei bellissima! Adesso tocca a Laura!- Laura fu più docile. Accettò tutto quello che Vicky le impose, comprese le zeppe rosse ed era veramente carina in quella mini tunica indiana. Quando entrammo in salotto si sprecarono gli wow! e gli oooh! I ragazzi ci dissero che eravamo veramente super. -Andrès, mi prese in braccio e mi fece girare, poi mi baciò dolcemente. -Basta con le smancerie!- disse Josè e prendendo Laura per mano usci seguito da tutti noi.
Il Pacha era nuovo di zecca, l’avevano appena finito di costruire. Era in puro stile ibizenco: tutto bianco simile alle fincas, le case di campagna del luogo, ma in versione lussuosa.
Jesùs entrò per primo e fu accolto da Ricardo, il proprietario, e da Piti il dj. Ci presentarono e da quel momento fu sottinteso che noi due potevamo entrare tutte le sere, gratis. La musica mi accolse, non mi aggredì, come di solito mi capitava nelle discoteche. Non ero preoccupata né di come ero vestita, nè di chi c’ era o non c’era. L’ istinto mi diceva che lì si poteva ballare come e quando si voleva. Che sensazione fantastica! Andrés, quella sera era più carino del solito, mi stava accanto,ma senza invadermi. Vicky stava baciando e abbracciando gente ad ogni passo che faceva, accanto a lei Jesùs faceva la stessa cosa. Laura e José, poco più avanti, erano già nella prima pista accanto all’ingresso e ballavano tutti contenti.
Io stavo in disparte, con il mio angelo custode accanto. Eravamo molto in sintonia , quella sera Andrès ed io. Ci fu un leggero cenno dei suoi occhi, io capii al volo e, anche se mi vergognavo un po’, lo seguì in pista. Per un po’ chiusi gli occhi e cercai di seguire il ritmo della musica, avevo paura che tutti mi criticassero; come se poi fossi stata l’unica da guardare! Era pieno di bellissime ragazze, ma anche meno belle, e tutti, uomini e donne, sembravano aver dato libero sfogo alla fantasia per vestirsi .I miei shorts non sfiguravano, anzi sembrava essere una tenuta piuttosto in voga insieme ad abiti e gonne argentati e dorati cortissimi, ma anche lunghi fino alla caviglia stampati a fiori o candidamente bianchi. Molti dei ragazzi avevano tuniche indiane su jeans estremamente sdruciti, altri portavano con disinvoltura, “saloppettes” di tela Jeans o bianche , sul torso nudo e ben abbronzato e quasi tutti sembravano se non belli, affascinantissimi. Mi girai un attimo e accanto a me era apparsa Vicky, mi porse un cocktail- Che è?- le chiesi.-Un Cuba libre, rhum e coca, coca da bere, naturalmente!- ridacchiò, già un po’ su di giri. Ecco l’altra cosa nuova che imparai. Bere cocktail alcolici aiutava molto l’autostima, molto di più di costosissime sedute di psicoterapia.
La disinvoltura, che questi quattro ragazzi , sfoggiavano, contrastava armonicamente, con l’ingenuità e la gioia di vivere, che sembravano emanare da tutti i pori. Decisi che volevo essere come loro. Volevo entrare nel loro mondo, sembrava così facile! Ci riuscii per un breve tempo, anche perché alla fine di agosto tornarono a Bilbao . Quella infatti per loro, era la vacanza estiva, come, per noi di Firenze, era l’isola d’ Elba, ma che differenza di ambiente!
Ballammo tutta la notte o così mi sembrò. Ogni tanto, Andrès ed io ci abbracciavamo e ci baciavamo. Lui non era molto più alto di me, ma era “fatto molto bene”, come diceva Laura. Pelle scura abbronzata, lunghi capelli scuri, ricci, tipo “afro” e stupendi occhi azzurro,tonalità “ Laguna blù”, vagamente tristi. Insomma, non era il colpo di fulmine da mille e una notte, ma in quel momento era l’Amore. Però,per noi, anche quella sera, niente sesso e io ci rimasi male. - Sarà mica gay?- chiesi a Laura. – Ma dai! -Se uno non vuol venire a letto con te, è automaticamente gay!Chi ti credi di essere, la Venere di Milo?-
-No, che c’entra! Però, ecco, non so, è molto coinvolgente quando pomiciamo, poi, bò, mi prende per mano e passiamo di colpo alla versione “imbrocco vecchia maniera”-
-Ma è dolce, dai, magari è timido. E’ che te sei un po’ troppo “ unabottaevia”, da quando siamo arrivate -
- E’ proprio il bello di qui: non ti conosce nessuno, nessuno conosce i tuoi genitori o le tue sorelle, molti stanno qui solo qualche settimana,che male c’è? Comunque se non succede qualcosa entro dopodomani, sarà troppo tardi per conoscerci “biblicamente”. Jesùs ha detto che hanno trovato posto sul traghetto per il prossimo sabato, fra quattro giorni!-
Ma non successe niente, o meglio, continuammo a fare “i fidanzatini di Peynet” fino alla fine. In realtà, non era molto facile appartarsi in casa. Le camere da letto erano sempre occupate e comunque tutti andavano e venivano in continuazione e le porte erano sempre aperte. Sembrava che nessuno fosse molto interessato al sesso. La notte fra il venerdì e il sabato non andammo nemmeno a dormire. Il traghetto partiva alle otto e mezzo di mattina. Fecero le loro valigie e noi le nostre borse, poi andammo al bar “Juanito” al porto per l’ ultima colazione insieme.
-Ce l’avete tutti la carta igienica?- chiese Jorge agli altri.
-Non c’è carta igienica sul traghetto?- chiese Laura sorpresa.
-Noooo! E’ una tradizione, qui. Quando si parte, ci si affaccia dalla spalletta e si tira giù il rotolo e te che ci saluti lo prendi e , mentre la barca parte, si aspetta che si rompa: quello è l’addio.- spiegò Vicki.
-Ah!- feci io. Credevo di avere capito male, ma quando arrivammo al molo, successe esattamente quello che Vicki aveva descritto. Sembravano ghirlande di carta bianche, che scendevano giù dalla nave. Mentre ci sbracciavamo a salutare, mi accorsi che non provavo tristezza o senso di distacco, come di solito mi accadeva in questi casi. Ero pronta per il prossimo episodio di “Roberta ad Ibiza”. E infatti, la sorpresa che mi aspettava da lì a poco, aprì un nuovo capitolo.
Raccogliemmo le nostre borse e prima di tornare all’ “hostal”, la nostra super economica pensione, ci fermammo alla “lista de correos”, il fermo posta locale, che era l’unico indirizzo che avevamo lasciato alle nostre famiglie.
L’impiegata mi consegnò quattro lettere. Le guardai abbastanza stupita, non mi aspettavo di ricevere così tanta corrispondenza per quel breve periodo di assenza da casa. Riconobbi la calligrafia svolazzante tipo inizio 1900, di mia madre e ,come sempre, mi stupii la perfezione del suo scritto, per una donna che aveva studiato poco, solo fino alla “sesta elementare”, come amava sempre ripetere lei. Le altre tre erano sicuramente della stessa persona. Quella scrittura mi era familiare. Certo, mi aveva fatto tante volte i compiti di italiano e matematica, quando ero in crisi con la scuola: Claudio! Era Claudio, oddio! Me ne ero praticamente dimenticata.
“Cara cinina”, cosi mi chiamava, ebbi un moto di stizza, leggendo quell’appellativo, che prima mi inteneriva, “che fine hai fatto? Mi manchi tanto, ho voglia di vederti… Quando torni? Ecc.ecc.eccetera. La prima e la seconda lettera andavano avanti così all’infinito. L’ultima, che era datata pochi giorni prima, diceva: “ Ho comprato il biglietto per Ibiza! Arriviamo il 18 Settembre alle 17,45!” –Arriviamo? Arriviamo chi?- mi domandò preoccupata Laura. Scorsi la lettera fino in fondo e risposi con un’unica parola: -Michele-.
Ero stata trasportata da un mondo all’altro in un nano-secondo.
-Che c’entra Claudio con Ibiza? E Michele?- Si chiese Laura ad alta voce.
-Oh cazzo! E ora che si fa?-
-Vuoi dire : cosa farai tu?- Disse Laura, mettendo l’accento sul “tu”.
-No eh, non mi abbandonerai mica, vero?- la implorai.
-Senti, io qui mi vergogno a scarrozzarmi dietro due fighettini della Firenzebene. Te lo immagini come arriveranno vestiti? Io si, che me lo immagino! Camicina Oxford azzurrina, jeans aderenti e stretti in fondo, mocassini di “Raspini”, golfino arrotolato e legato in vita…aiuto!-
In quegli anni, ancora, Ibiza non era conosciuta come meta di vacanza per gli italiani e la descrizione che aveva fatto Laura del tipico ragazzo fiorentino, che conoscevamo, era ahimè, perfetta. E aveva ragione la mia amica, sarebbero stati veramente fuori luogo! Ma, cazzo! Ero veramente così superficiale? Davvero non ero commossa dalla dedizione, che Claudio mi dimostrava? Aveva rinunciato al suo tanto desiderato soggiorno negli Stati Uniti, solo per vedermi e io mi sentivo invasa dal nemico? No, non ero così superficiale, si, ero commossa dalla sua dedizione e, si, mi sentivo decisamente invasa se non da un nemico, da un corpo estraneo.
Dovevo inventarmi qualcosa. Scappare in una finca in campagna senza luce né acqua e raggiungibile solo a piedi, non mi sembrava una buona idea. Cambiare isola per un po’ e andare a Minorca? Questo mai! L’ultima cosa, che avrei voluto, era andar via da Ibiza. E’ buffo, ma allora non mi posi il problema, di capire se amavo Claudio oppure no. Mi sentivo come obbligata a riceverlo degnamente.
-Dai troveremo una soluzione! Intanto andiamo a prepararci per stasera, finchè siamo sole!- Laura mi prese a braccetto e io non mi sentii più abbandonata dalla mia migliore amica, nel momento del bisogno.
Riuscii a non pensare più all’imminente arrivo di Claudio. In fondo mancava un sacco di tempo, circa dieci giorni!
-Lo sai?- chiese Laura, appollaiata sull’alto sgabello del bar del Pacha e sorseggiando il suo gin e tonic – c’hai proprio ragione, il barman è un amore! E ci sta offrendo un sacco di drink! Com’è che si chiama?-
-Carlos, e, comunque l’ho visto prima io, non fare la stronza, okay?- L’avevo detto tanto per dire, infatti sapevo benissimo, che vigeva fra di noi, una sorta di ferreo accordo di lealtà. Se a una delle due piaceva qualcuno, l’altra, automaticamente, se lo toglieva dalla testa come possibile amante o fidanzato, anche se ne fosse stata follemente innamorata.
-Non è comunque il mio tipo. A me piace il biondo, quello con la megamoto-
-Chi? Quello che sembra il californiano di quella pubblicità?-
-E’ vero! E’ vero! Sembra proprio lui! Come si chiamerà?-
-Non lo so, però ho visto che parla spesso con Dieter, che è tedesco.-
-Va bè, io non sono razzista, mi va bene anche se è tedesco! Bisogna vedere però, se vado bene io a lui!-
Questo era il momento della serata, nel quale stavamo di vedetta per vedere chi arrivava. La postazione l’avevo scelta io per poter parlare con Carlos. Ero lì già da un po’, ma non sembrava che servisse a molto, infatti mi aveva rivolto la parola solo per chiedermi cosa volevo bere. Chissà, magari aveva la ragazza e io ero lì a fare la figura della cretina. Eppure c’era qualcosa nel suo modo di parlarmi, che mi aveva fatto credere che gli piacevo. Bè, almeno tutto questo mi impediva di preoccuparmi per l’ arrivo di Claudio.